L'inizio.
Ricordava che se ne stava sdraiato sulla sua cuccetta ammezzata a guardare la luce notturna appesa al soffitto oscillare insieme al vagone, senza prendere sonno.
Walter tornò al suo posto. Come faceva sempre si assicurò di avere la valigetta a vista e di avere la pistola al suo posto. Si sistemò il trench e poi si girò verso il finestrino.
Sentì che l’uomo che aveva appena aiutato lo stava fissando con aria interrogativa. Si maledisse per un attimo di averlo fatto e si augurò di non doversi trovare a breve a chiarirgli che doveva stare alla larga.
Decise di non fare niente per ora e fece come sempre quando qualcosa non quadrava: cercò di non pensarci, sperando che sparisse. Per un attimo gli fu chiaro quante volte lo aveva fatto ultimamente. E che anche quel viaggio era iniziato per lo stesso motivo. Perché lo aveva fatto ancora una volta, e forse una volta di troppo.
Si ritrovò a seguire con gli occhi i pali di legno della linea elettrica passare a qualche centimetro dal vetro uno per uno fino a costringerlo a strizzare le palpebre, come aveva fatto da bambino con suo padre quella notte.
Con due dita si iniziò a massaggiare una tempia mentre teneva ancora gli occhi serrati, lasciandosi andare ai ricordi di suo padre.
Sorrise.
Era un uomo buono. Non di molte parole. Era nato in quella che ora viene identificata come l’area del Sole, ma al tempo era solo “il Sud”. La sua famiglia veniva dai campi e lui fece di tutto per studiare e trovare un lavoro in quel "Nord” che prometteva molto: era diventato un ricercatore militare.
Aveva sposato sua madre e si era fatto la sua vita lavorando duro, a quanto si ricorda. Anche se non sapeva bene di cosa davvero si occupasse. Non era mai voluto tornare dalle sue parti. “Non ho bei ricordi” così diceva sempre. Ma una volta si partì. Una sola volta, che poi rimase l’unica.
Quella volta però il viaggio non finì. “Perché partiamo?” ricordò di aver chiesto Walter. “Perché è morto tuo nonno” gli rispose. Anche se il nonno, Walter, non l’aveva mai visto.
E neanche il mare.
E finalmente lo avrebbe visto.
Ricordava che se ne stava sdraiato sulla sua cuccetta ammezzata a guardare la luce notturna appesa al soffitto oscillare insieme al vagone, senza prendere sonno. Pieno di curiosità e domande su ciò che sarebbe successo in quel viaggio, in cui avrebbe visto da morto un nonno che non lo aveva mai accarezzato. Poi suo padre era sbucato da sotto e aveva appoggiato le braccia al letto, all’altezza del suo petto. “Non dormi?”. Si sdraiò accanto a lui. “Guardiamo fuori…”. E lo vide sorridere. Non succedeva quasi mai.
Aprì la tendina del finestrino come un sipario sulla notte.
Erano fermi ad una stazione. Il capostazione fumava una sigaretta davanti alla carrozza proprio sotto il loro finestrino. E il fumo che buttava fuori dalla bocca gli cancellava il viso. Dietro di lui un uomo beveva un caffè appoggiato sullo stipite della sala d’aspetto.
Si sentivano i grilli e l’odore dell’olio delle rotative.
“Farò il capostazione di notte” disse a suo padre.
”Perché”?”
”Perché mi piacciono i grilli”.
Suo padre rise e lo accarezzò. Fu l’ultima volta che lo vide.
Poi si spense la luce del vagone.
E poi quelle della stazione.
E poi la carrozza iniziò a tremare.
E poi non ricordava più niente.
Solo un buio che poi durò 10 anni.
Walter aprì gli occhi all’improvviso. Si accorse che il treno era fermo. Guardò avanti a sé, i passeggeri si guardavano attorno smarriti. Guardò al posto dell’uomo che aveva aiutato e vide il sedile vuoto.
Portò lo sguardo alla valigetta per afferrarla, ma prima che potesse stringere la mano attorno alla maniglia, sentì un colpo sulla nuca.
Sdraiato a terra riconobbe le scarpe di quell’uomo.
E si lasciò affondare in un mare nero e buio.